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Dal centro di Wimbledon al fondo di una cella, Boris Becker non si è mai perso: «Sinner mi voleva come coach, gli dissi: scegli Cahill»

Le radici, la famiglia, la forza di ricominciare

«Mia madre era una rifugiata. A dieci anni fuggì dalla Cecoslovacchia e fu accolta in Germania. Perdere tutto e ricominciare da capo fa parte del mio carattere». Da suo padre, invece, ha ereditato libertà e curiosità: «Il suo musicista preferito era Louis Armstrong e l’atleta Muhammad Ali. Mi svegliava di notte per guardare i suoi match. Non avevo scelta, ero già diverso». Poi un tratto tipicamente familiare: «I miei non hanno mai accettato un soldo da me. È una cosa molto tedesca, ma non comune».

Fallimento e verità sul denaro

«Il diritto fallimentare inglese è molto diverso da quello tedesco o italiano. Avevo garantito un prestito con i miei diritti d’immagine e una finca a Maiorca. Due anni dopo ho rimborsato tutto, ma il danno era fatto». Becker è netto: «Quel prestito aveva un tasso del 25%. Ho fatto errori, ma niente alibi». Poi sfata un mito sui suoi guadagni: «Leggo 100 milioni, sbagliato. Leggo 50, sbagliato. La metà di quella cifra, forse». E spiega: «Erano altri tempi. A Wimbledon vincevi 300 mila sterline, ora tre milioni. Ho avuto divorzi costosi e quattro figli da mantenere, ma non ho mai sperperato in yacht o Ferrari».

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