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Zone Economiche Speciali: opportunità per il Sud o per l’intero Paese?

Le Zone Economiche Speciali (ZES) rappresentano uno strumento strategico di politica industriale e territoriale volto a promuovere lo sviluppo economico, attrarre investimenti e ridurre i divari regionali. Introdotte in Italia nel 2017, con l’istituzione di otto ZES regionali e interregionali, con la riforma del 2024 sono state accorpate nella ZES Unica per il Mezzogiorno, estendendo le agevolazioni fiscali, i crediti d’imposta e le semplificazioni amministrative a tutti i comuni delle regioni meridionali, con nuovi strumenti per il mercato del lavoro e lo sviluppo infrastrutturale, inclusi gli investimenti del PNRR. La nota analizza la storia delle ZES, sia italiane che estere, e le evidenze empiriche nazionali e internazionali sull’efficacia di tali strumenti. Mentre l’insieme delle agevolazioni fiscali e contributive deve necessariamente restare legato alla politica place-based che identifica la ZES, la velocizzazione dei tempi delle pratiche amministrative potrebbe essere estesa al resto del Paese.

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Il disegno di Legge di bilancio per il 2026, approvato dal Governo e ora all’esame delle Camere, dedica ampio spazio alla Zona Economica Speciale (ZES) Unica, che da gennaio 2024 sostituisce le precedenti ZES territoriali. La Legge prolunga la ZES Unica da fine 2025 a fine 2028, stanziando 2,3 miliardi di euro per il 2026 (dopo 2,2 miliardi nel 2025), 1 miliardo per il 2027 e 750 milioni per il 2028. A queste risorse, si aggiunge: (i) un fondo per specifici investimenti in beni strumentali (300 milioni tra 2026 e 2028); ii) circa 800 milioni tra 2026 e 2028, per rifinanziare l’esonero parziale dal versamento dei contributi previdenziali da parte del datore di lavoro; (iii) una decontribuzione parziale per i giovani (54 milioni per il 2026, 400 per il 2027 e 271 milioni per il 2028); e (iv) incentivi per l’assunzione di donne disoccupate con almeno 3 figli, con fondi per 238 milioni di euro tra il 2026 e il 2035.

Ma cos’è la ZES Unica e cosa sono le ZES che l’hanno preceduta? Quali territori riguardano? Questa nota analizza la storia e le applicazioni delle ZES, concentrandosi sull’esperienza italiana.

Cosa sono le ZES? Una definizione e alcuni esempi

Le ZES sono aree geograficamente delimitate, di norma localizzate nelle regioni meno sviluppate, dove vige un regime economico e amministrativo agevolato. L’obiettivo è favorire nuovi investimenti, attrarre capitali esteri e stimolare l’occupazione. Attraverso agevolazioni fiscali, semplificazioni procedurali e interventi infrastrutturali mirati, le ZES rappresentano una politica place-based volta a ridurre i divari territoriali e rafforzare la competitività del sistema produttivo.

Le ZES sono diffuse a livello globale. La prima ZES nasce nel 1959 in Irlanda e, in trent’anni, si arriva a 500 zone in tutto il mondo. In generale, queste zone offrono vantaggi fiscali, come minori tariffe e imposte, fino alla determinazione del proprio livello di tassazione e delle politiche di regolazione. Inoltre, stimolano la crescita economica tramite diversi canali, come attrazione di investimenti diretti esteri, crescita delle imprese locali, creazione di distretti industriali, generando economie di scala e ulteriori spillover sulle economie locali. L’impatto sul mercato del lavoro non si limita all’occupazione nelle imprese che investono, ma anche sull’indotto e i territori limitrofi. Si crea così un effetto moltiplicatore: la crescita delle attività produttive nelle ZES favorisce l’espansione dell’intera economia locale.

In un lavoro del 2019,[1] si contano oltre 5mila ZES, quasi la metà concentrate in Cina (47% del totale). In Europa se ne contano 105, pari al 2% del totale mondiale, localizzate principalmente nei Paesi dell’Est, come Polonia, Croazia e Repubblica Ceca. Moberg (2015) sostiene che il successo delle ZES dipenda dalla qualità delle infrastrutture, dalla localizzazione sul territorio (meglio vicino a porti, aeroporti o distretti industriali), dalla dimensione delle zone e dai collegamenti con i mercati domestici, collegamenti che consentono agli investitori di acquisire fattori produttivi da fonti domestiche.[2] Tra i motivi di insoddisfazione per i risultati delle ZES, figurano la cattiva manutenzione degli impianti, l’inaffidabilità di forniture energetiche, la mancata o parziale promozione delle ZES, il coordinamento delle politiche e degli incentivi fiscali, nonché requisiti di rendimento sproporzionati alle potenzialità dell’area. Più in generale le ZES sono criticate per limiti noti dell’intervento pubblico: una limitata conoscenza del governo centrale rispetto agli operatori locali e il rischio che lo Stato selezioni imprese o settori non competitivi, finanziando attività che il mercato non apprezza, traducendosi in costi superiori ai benefici.

Tra le ZES di maggior successo, troviamo quelle in Polonia, dove queste zone sono gestite da autorità locali con modelli di governance autonomi ma con principi comuni. Qui l’obiettivo principale è sostenere l’occupazione, con risultati notevoli: dal 1994 al 2019 sono stati creati più di 388mila posti di lavoro, attirando investimenti per 28,5 miliardi di euro. Tra gli incentivi maggiormente adottati figura l’esenzione dall’imposta sul reddito per 15 anni.

Fuori dal territorio europeo, un esempio significativo è Tangeri in Marocco, dove le imprese godono di un’esenzione dall’imposta sul reddito delle società per 15 anni e di un’aliquota all’8,7% nei successivi 20 (contro un’aliquota ordinaria media del 31,6%). Ciò ha attratto investimenti in settori ad alto valore aggiunto, come l’automotive, nei quali il Marocco è diventato leader nel continente.

Le ZES regionali in Italia

La storia delle ZES in Italia inizia nel 2017, sotto il governo Gentiloni, con l’istituzione di otto ZES: Abruzzo, Campania, Calabria, Sicilia occidentale, Sicilia orientale, Sardegna, Adriatica (composta da Molise e Puglia settentrionale) e Ionica (composta da Puglia meridionale e Basilicata). Ogni ZES rappresenta una specifica zona geografica, con specifici comuni, attorno ad un’area portuale principale e a una o più aree retro-portuali e industriali. Questi comuni rappresentavano una piccola parte del totale regionale: ad esempio, per la ZES Sardegna, erano inclusi 15 comuni su 377; per la Campania 37 su 550.[3] La durata delle ZES era fissata tra 7 e 14 anni.

I benefici fiscali prevedevano un credito di imposta differenziato per regione e dimensione d’impresa,[4] una riduzione del 50% dell’IRES, incentivi alle assunzioni e iper-ammortamento (maggiorazione del 150% del costo di acquisizione di beni funzionali alla trasformazione tecnologica e digitale). Inoltre, venivano semplificati i procedimenti amministrativi per la nascita di nuove attività imprenditoriali e autorizzazioni alla costruzione di fabbricati strumentali,[5] tramite l’introduzione di un’autorizzazione unica, comprendente anche la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA),[6] e la creazione di uno Sportello Unico Digitale per la presentazione delle domande per crediti di imposta e altre agevolazioni. Per mantenere i benefici fiscali, le imprese dovevano mantenere l’investimento per almeno 7 anni, conservando la loro attività ed i posti di lavoro creati per almeno 10 anni.

Il PNRR ha destinato alle ZES risorse per 563,5 milioni di euro nella Missione 5 (Politiche per il Lavoro), Componente 3 (Interventi speciali per la Coesione Territoriale), necessari per opere come: urbanizzazioni primarie, il collegamento di tali aree con le reti stradali e ferroviarie, infrastrutture per i collegamenti ‘dell’ultimo miglio’ con porti o aree industriali; la digitalizzazione della logistica, urbanizzazioni o lavori di efficientamento energetico;[7] il rafforzamento della resilienza dei porti. La suddivisione è la seguente: Campania (136 mln), Calabria (111,7 mln), Ionica (108,1 mln), Adriatica (89,1 mln), Sicilia (56,8 per la parte occidentale e 52,2 per quella orientale), Abruzzo (62,9 mln) e Sardegna (10 mln). Allo stato attuale, tuttavia, è stato speso solo l’11% delle risorse.[8] In aggiunta, il PNRR prevede oltre 15 miliardi e mezzo per interventi in settori correlati allo sviluppo delle ZES nelle Missioni 3 e 5.

Nonostante la breve esperienza, sono già disponibili prime evidenze descrittive sugli effetti delle ZES regionali: uno studio di TEHA mostra che in Campania, tra il 2022 e il 2023, sono state rilasciate 73 autorizzazioni uniche, per oltre 900 milioni di euro di investimenti, con impatto occupazionale diretto di 3.700 persone. Tra il 2018 e il 2022 sono stati concessi quasi 400 milioni di crediti di imposta, a fronte di oltre 1,1 miliardi di euro di investimenti.[9] Lo stesso studio mostra come 1 euro di investimenti nella ZES campana produca 1,4 euro di valore aggiunto indiretto, mentre ogni nuovo occupato nella ZES genera 1,7 posti di lavoro nel resto dell’economia regionale.

Le fasi iniziali, tuttavia, non furono facili: lo Stato delegò inizialmente alle Regioni lo sviluppo delle ZES, causando ritardi significativi: alcune si attivarono rapidamente, come la Campania, ottenendo risultati tangibili, mentre altre, come Sardegna e Abruzzo, attivarono le procedure solo nel 2022. Altro problema riguarda la governance: la gestione iniziale era affidata alle Autorità Portuali ma si è optato (nel 2020, governo Draghi) per l’istituzione di un Commissario straordinario della ZES, affiancato da comitati, che hanno permesso una gestione migliore dei fondi e dei crediti d’imposta. La frammentazione ha rallentato lo sfruttamento dei fondi PNRR e questo spiega l’impiego dell’11% dei fondi disponibili. Da ultimo, le ZES riguardavano solo pochi comuni delle regioni interessate, legati a distretti portuali, logistici e industriali, con buone infrastrutture, escludendo centri più piccoli e periferici.

La ZES unica

La ZES unica è entrata in vigore il primo gennaio 2024, unificando le otto zone esistenti,[10] perché le ZES territoriali non avevano portato i risultati attesi in tutte le regioni. Dal 2025, il governo Meloni ha incluso anche Umbria e Marche all’interno della ZES unica.[11] La prima differenza rispetto al passato è l’inclusione di tutti i comuni appartenenti alle regioni interessate. La legge di bilancio del 2024 ha autorizzato risorse finanziarie pari a 1,8 miliardi di euro.

Nel primo anno di vita della ZES unica si sono registrate 413 autorizzazioni uniche rilasciate, con 6.885 richieste di crediti di imposta per un totale di 2,55 miliardi di euro, che hanno generato 7 miliardi di investimenti e oltre 7mila occupati.[12] Uno studio di Confindustria, che include anche i primi mesi del 2025, conta 700 autorizzazioni uniche, con oltre 5 miliardi di crediti di imposta, 28 miliardi di investimenti generati e più di 35mila unità di occupazione aggiuntiva.[13] Lo stesso studio enfatizza come, dal 2020, la crescita del Pil al Sud (+7,1%) sia stata maggiore che al Nord (+5,1%) e al Centro (+2,8%), per una combinazione di fattori quali investimenti (alimentati dalla ZES), semplificazioni amministrative (della ZES unica) e PNRR.

Tra gli strumenti adottati, viene riproposto il regime di autorizzazione unica, con tempi medi di approvazione di 30 giorni, anche attraverso l’istituzione di uno Sportello Unico Digitale Nazionale.[14]

Le agevolazioni fiscali comprendono il credito di imposta per investimenti in beni strumentali, con importi variabili in base alla regione e all’ammontare dell’investimento. Per l’acquisto di immobili si applica un credito di imposta per un massimo del 50% del valore complessivo; inoltre, è previsto un credito di imposta per beni strumentali destinati al settore primario.

I crediti d’imposta sono cumulabili con altri aiuti, a condizione che l’ammontare complessivo non superi l’importo totale dei costi ammissibili secondo le linee guida europee.[15] Gli investimenti agevolabili riguardano l’acquisto di macchinari, impianti e attrezzature varie, o di immobili strumentali per gli investimenti e per l’acquisto di terreni. Il credito di imposta ha però dei limiti: il valore dei terreni e degli immobili non può superare il 50% del valore complessivo dell’investimento e l’investimento minimo è di 200mila euro, per un massimo di 100 milioni.[16]

Sul fronte occupazionale, il “bonus ZES unica” prevede una esenzione dal versamento dei contributi previdenziali, fino ad un massimo di 650 euro al mese, per massimo 24 mesi, destinata a nuove assunzioni a tempo indeterminato in posizioni non dirigenziali, per soggetti con almeno 35 anni di età e disoccupati da almeno 24 mesi. Si applicano, in versione estesa rispetto a quanto previsto a livello nazionale, anche il “bonus giovani” (l’esonero dai contributi previdenziali è di 4 anni e non 3) e il “bonus donne” (l’esonero dai contributi previdenziali è di 18 mesi e non 12), cumulabili con altre iniziative. Vengono previsti incentivi per avviare attività imprenditoriali per lo sviluppo di nuove tecnologie e la transizione digitale ed ecologica, come l’iniziativa “Resto al Sud”, attraverso l’erogazione di fondi per metà a fondo perduto e per metà tramite finanziamento bancario garantito dal Fondo di Garanzia delle PMI. “Resto al Sud 2.0” è un’iniziativa simile, ma riservata agli under 35 che si trovano in condizioni di marginalità o vulnerabilità sociale. “Cresci al Sud” si rivolge alle PMI locali e prevede che Invitalia e investitori privati indipendenti acquisiscano partecipazioni di minoranza nel capitale di PMI aventi sede legale e operativa nella ZES unica, con l’obiettivo di sostenere la crescita e la competitività delle PMI attraverso processi di acquisizione, aggregazione e operazioni di private equity e IPO. Le imprese in oggetto devono avere meno di 250 dipendenti e un valore della produzione inferiore a 50 milioni di euro (o attivo sotto i 43 milioni di euro).

Possono essere create zone franche doganali in cui depositare merci provenienti da Paesi extra UE senza pagare diritti doganali, con la possibilità di rinviare il pagamento di eventuali dazi fino al momento di immissione in commercio del prodotto finito. Al momento, sono attive quattro zone franche: a Termoli, in Molise; a Bari, Molfetta e Monopoli, in Puglia.[17]

La governance della ZES è affidata ad una Cabina unica di regia, con compiti di coordinamento e vigilanza, affiancata da una segreteria tecnica nazionale, che assume un ruolo di coordinamento a livello statale, regionale e locale.

Le ZES funzionano?

La ricerca economica ha analizzato l’impatto delle ZES in diversi contesti. Arbolino et al. (2019)[18] valutano il caso polacco di 16 regioni tra 2006 e 2018, attraverso indici compositi, che misurano gli impatti su Ricerca e Sviluppo, struttura produttiva, dotazioni infrastrutturali, ambiente, fattori contestuali e background economico. Le politiche analizzate sono le seguenti: esenzioni dall’imposta sul reddito, sgravi fiscali sugli immobili, veicoli da trasporto e dazi doganali, incentivi fiscali per l’assunzione di nuovo personale e sugli investimenti. La regione che ha tratto maggiore beneficio è l’Alta Slesia, collocata nel sud del Paese, al confine con Repubblica Ceca e Slovacchia, che da sola produce il 13% del Pil polacco grazie ad attività estrattive e all’industria dell’auto. Il successo della ZES in questa regione si deve alla combinazione di infrastrutture stradali, investimenti in Ricerca e Sviluppo e investimenti esteri. Altre tre regioni con risultati soddisfacenti basano il successo su innovazione e infrastrutture stradali ma con produzioni diverse: la Bassa Slesia (simile come struttura produttiva all’Alta Slesia) si fonda su piccole imprese legate al settore automotive; la Piccola Polonia si fonda su investimenti esteri, grazie ad un’economia basata su industrie ad alta tecnologia e un forte settore bancario, concentrato nella capitale Cracovia, mentre il distretto di Lodz, collocato nel centro del Paese con un Pil pro-capite largamente inferiore alla media europea, è riuscito a generare centri di innovazione e start-up grazie a specifiche norme di supporto su imposte su redditi aziendali e personali. Il lavoro mostra come le ZES generano benefici dal secondo anno di attivazione, mentre le zone franche hanno bisogno di più tempo (terzo-quarto anno). Per il resto delle regioni esaminate, le ZES non sembrano portare risultati convincenti e significativi, un risultato imputabile ad una pianificazione governativa errata o all’inefficacia delle ZES con aree fortemente arretrate, poiché i risultati migliori si ottengono con un sistema economico forte e solido.

Ferrara et al. (2022)[19] tracciano una mappa dei successi e dei fallimenti delle ZES: negli USA si osservano effetti positivi su occupazione manifatturiera (Tennessee) e sui salari,[20] mentre in Francia gli impatti sono moderati e disomogenei. Per i Paesi in via di sviluppo, i risultati sono molto variabili: in Cina, le ZES rappresentano un successo, mentre in altri contesti i benefici restano limitati e confinati a produzioni a basso valore aggiunto.[21]

In Italia, Millemaci et al. (2025)[22] offrono uno dei primi studi quantitativi sull’impatto delle ZES nel Sud. Analizzando oltre 100mila imprese, lo studio mostra come gli asset tangibili siano cresciuti del 20% e in modo significativo, soprattutto per territorio con migliori infrastrutture e politicamente instabili. I risultati sull’occupazione sono, invece, eterogenei con una crescita marcata per le piccole imprese (+30%) rispetto alle medio-grandi (+17,3%). In un altro studio, Bergantino et al. (2025) analizzano il caso pugliese,[23] evidenziando maggiori entrate medie per 160mila euro tra 2017 e 2021.

Infine, Cizkowicz et al. (2015) quantificano i vantaggi generati ancora nelle ZES polacche. Ogni 100 occupati generati nella ZES, se ne generano 73 nel resto della provincia e 137 nelle province confinanti.[24] Numeri simili riguardano il capitale: ogni 100 euro investiti nella ZES ne generano 59 nella residua parte della provincia e 176 nelle province confinanti.

Perché non estendere le ZES all’intero Paese?

Se le ZES producono buoni risultati perché non estendere questa esperienza all’intera Italia? Sarebbe fattibile? Il recente dato mostrato da Confindustria di 28 miliardi di investimenti generati da 5 miliardi di crediti di imposta mostra come l’applicazione della ZES unica sia efficace e tangibile.[25]

In via generale, l’estensione delle ZES a livello nazionale sarebbe in contrasto con le linee guida UE relative agli aiuti regionali e di Stato. Però alcune esperienze delle ZES possono essere estese, soprattutto per quanto riguarda i costi delle procedure. Ad esempio, lo Sportello Unico Digitale può essere la soluzione ideale per snellire la burocrazia e per fare in modo che le autorizzazioni e i crediti di imposta siano attivi nel giro di 30 giorni, senza dover richiedere molteplici verifiche, come l’autorizzazione unica sulla VIA. Lo snellimento della burocrazia potrebbe facilitare gli investimenti anche in altre aree del Paese.

 

[4] Per Molise e Abruzzo, il credito d’imposta era pari al 30% per le piccole, 20% per le medie e 10% per le grandi imprese. Per le altre regioni, 45% piccole, 35% medie e 25% grandi.

[5] Nel rapporto Doing Business 2020 della World Bank, sono riportati i giorni necessari per l’ottenimento di permessi edilizi. Tra quelle incluse nelle ZES, vi sono Bari (270 giorni), Cagliari (115 giorni), Napoli (298,5 giorni), Palermo (206 giorni) e Reggio Calabria (325,5 giorni).

[6] La VIA è una procedura obbligatoria dal 2006, in cui la Pubblica Amministrazione valuta se un progetto si integra con l’ambiente, e se causa danni relativi all’inquinamento, consumo di suolo, rumore o riduzione della biodiversità. Con autorizzazione unica, solo un ente valuta il progetto in unica misura, e non con passaggi molteplici come accade normalmente.

[7] La stesura del PNRR è avvenuta con la presenza di ZES regionali e interregionali, quindi ciascuna ha ricevuto fondi separati.

[14] L’autorizzazione unica viene definita come “provvedimento che sostituisce tutti i titoli abilitativi e le autorizzazioni necessarie alla localizzazione, insediamento, realizzazione, messa in esercizio, trasformazione, ristrutturazione, riconversione, ampliamento, trasferimento, cessazione, riattivazione delle menzionate attività, quando non sia sufficiente presentare la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA)”.

[15] Per le aree meno sviluppate, si prevede un massimo del 30% di spesa che può essere coperta da aiuti pubblici (se l’impresa è grande), 40% e 50% nel caso di imprese medie e piccole. Per maggiori informazioni, vedi Regional Aid-EUR Lex.

[24] Cizkowicz, Piotr & Ciżkowicz, Magda & Pękała, Piotr & Rzońca, Andrzej. (2015). The Effects of Special Economic Zones on Employment and Investment: Spatial Panel Modelling Perspective. NBP Working Papers. NBP working paper n.208.

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