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2012. Salvati in Atlantico. Una storia esemplare

Benvenuti nella sezione speciale “GdV 5o Anni”. Vi stiamo presentando, giorno dopo giorno, un articolo tratto dall’archivio del Giornale della Vela, a partire dal 1975. Un consiglio, prendete l’abitudine di iniziare la giornata con le più emozionanti storie della vela: sarà come essere in barca anche se siete a terra.

Salvati in Atlantico

Tratto dal Giornale della Vela del 2012, Anno 38, n. 03, aprile, pag. 100-103.

La solidarietà tra marinai esiste, ancora oggi. Ecco cosa è successo quando una barca (Sun Fast 3200) sta affondando in mezzo all’oceano, dopo aver urtato un oggetto galleggiante non identificato. Arriva il soccorso di un Bavaria 36 che carica a bordo l’equipaggio e la tragedia ha un lieto fine.

Cosa accade se stai affondando in mezzo all’oceano e devi abbandonare la barca? Semplice, sali a bordo di un Bavaria 36. Storia di solidarietà tra marinai.

Due amici di lunga data e per quindici anni compagni di regate in doppio si sono dovuti piegare al destino infame che li ha bruscamente risvegliati dal bellissimo sogno che stavano vivendo. Isidoro Santececca e Francesco Piva sono stati costretti ad abbandonare in Atlantico la barca (un Jeanneau Sun Fast 3200) con la quale stavano partecipando alla seconda tappa della Transquadra (sulla rotta di 2600 miglia dall’isola di Madera alla Martinica). Dopo avere urtato in piena notte un oggetto in mare, il timone di destra ha squarciato il fondo dello scafo. Purtroppo, l’asse non si è spezzato e ha sollevato addirittura la losca in coperta. Con un timone distrutto, ma con la pala rimasta appesa come un brandello, la barca (che ha anche iniziato a imbarcare acqua) è diventata assolutamente ingovernabile, costringendo i due navigatori a chiedere soccorso. Sono stati raggiunti così da una coppia di concorrenti francesi, che li ha fatti salire sul Bavaria 36 con il quale stava affrontando la gara e, tutti i quattro insieme, hanno raggiunto la linea del traguardo, portando felicemente a termine una bella avventura di autentica marineria.

Come è iniziata l’avventura

Isidoro Santececca, 54 anni, proprietario della storica Trattoria da Marcello nel quartiere San Lorenzo di Roma, e Francesco Piva, imprenditore di 44 anni, anche lui romano, hanno disputato la loro prima regata in doppio negli Anni Novanta in occasione della Roma per Due. Poi, sempre in coppia su barche di serie, hanno partecipato a vari giri di Corsica e Sardegna, alla Carthago Dilecta Est e hanno vinto anche la prima edizione della categoria “per Due” della Middle Sea Race con l’X452 Durlindana. Con la stessa barca hanno completato un trasferimento dalle isole Vergini alle Azzorre. Nell’aprile del 2011 hanno attraversato di nuovo l’Atlantico, da Fort Lauderdale (in Florida, Stati Uniti) a Horta (Azzorre), per qualificare se stessi e la barca di Piva, il Kiwi 40 FC Peraspera, con l’idea di partecipare, magari, alla prossima edizione del giro del mondo Global Ocean Race (per equipaggi doppi a bordo di Class 40). “Dopo tante regate in Mediterraneo e due traversate atlantiche in trasferimento, abbiamo sentito il desiderio di partecipare a una regata oceanica in doppio, che segnasse la chiusura di un percorso di quindici anni e, probabilmente, aprisse una nuova esperienza, che potrebbe essere la regata attorno al mondo”, racconta Isidoro Santececca. Per due navigatori esperti, ma che nella vita fanno tutt’altro, la Transquadra è la regata oceanica perfetta, perché è riservata a skipper non professionisti di almeno 40 anni di età, che possono decidere di navigare in solitario o in doppio, ma comunque sempre con barche di serie. Inoltre, nella settima edizione di quest’anno, ai partecipanti era concessa per la prima volta la possibilità di raggiungere l’arcipelago di Madera (da dove parte la prova transatlantica) da Saint Nazaire (Francia) o da Barcellona (Spagna). Nell’estate scorsa, Santececca e Piva hanno quindi partecipato alla prima tappa, da Barcellona a Porto Santo (Madera), con il Sun Fast 3200 acquistato nel 2009 proprio per questa regata e battezzato Cymba (Barca, in latino). Quando, il 28 gennaio scorso, insieme a una flotta di quasi cento barche (tra le quali, anche i Sun Fast 3200 Mima di Andrea Gancia e Massimo Rufini e Scheggia di Nino Merola e Andrea Caracci) sono partiti per la Martinica: sommate le regate e gli allenamenti in Mediterraneo e la prima tappa del la Transquadra, vantavano già circa 10.000 miglia di navigazione con Cymba.

Isidoro Santacecca e Francesco piva a bordo del Sun Fast 3200.

Prima il “boom”, poi il “crash”

Al quinto giorno di traversata, Santececca e Piva erano felici e in splendida forma. “La regata stava andando veramente bene, eravamo in ottima posizione e le condizioni erano ideali, con vento di poppa tra i 15 e i 20 nodi che ci avevano permesso di stabilire delle medie giornaliere notevoli, tra 150 e 190 miglia, e raggiungere punte massime di velocità di quasi 17 nodi, in planata”, racconta Santececca. Una traversata da sogno che, però, si è interrotta improvvisamente tra le 2 e le 3 del mattino del 2 febbraio, in piena notte, quando era buio perché non c’era neanche la luna. “Avevo finito il mio turno di riposo e da qualche minuto mi ero messo al timone. Tenevo una velocità di 10 nodi, con a riva la randa di 30 metri quadri e lo spi di 80 mq. Il tempo di sentire un ‘boom’, sul fondo dello scafo, che subito dopo le mie orecchie sono state assordate da uno spaventoso ‘crash’”, ricorda Santececca. È stato proprio quel suono, unito all’odore della poliestere diffusa nell’aria, che ha fatto capire subito alla coppia di navigatori la gravità del danno. “Chi naviga, ai tonfi sordi di oggetti che toccano lo scafo ci è abituato; ma quando si sente un botto come quello nostro, si realizza subito che, quanto meno, la regata finisce in quel momento”. La prima sensazione di Santececca e Piva è stata quindi di delusione; in un “crash” hanno visto andare in fumo un progetto di tre anni. Immediatamente dopo, però, si sono attivati per verificare l’entità del danno che, parlando successivamente con il progettista della barca, è stato causato sicuramente da un oggetto molto duro, escludendo quindi l’ipotesi di una balena. “La rapida sequenza del botto e la dinamica dello schianto, ci indicano che l’oggetto è stato colpito con il timone che, non spezzandosi, è poi andato sopra l’oggetto dal quale ha ricevuto una forte spinta dal basso verso l’alto. A quel punto la pala è entrata dentro lo scafo e l’asse ha fatto esplodere per compressione la losca in coperta”, spiega Santececca, che aggiunge: “I tecnici della Jeanneau ci hanno detto che siamo stati anche fortunati: se a quella velocità l’oggetto così duro lo avessimo colpito con la chiglia, l’avremmo persa e ci saremmo ribaltati”.

Santacecca e Piva “ospiti” a bordo del Bavaria 36 Vagdespoir dei francesi Prévot-Le Cunff.

Il salvataggio “alla bretone”

Con il fondo della barca aperto da una spaccatura di oltre un metro che faceva entrare acqua e con la pala conficcata nello scafo, che non è stato possibile smontare o eliminare per via del suo asse eccessivamente resistente, e che quindi impediva all’equipaggio di governare con l’altro timone funzionante, che intanto era stato disallineato da quello rotto, Santececca e Piva dopo diverse ore hanno dovuto prendere la decisione di abbandonare la barca: “Con la tristezza nel cuore, abbiamo dovuto considerare la priorità, ovvero la salvaguardia delle nostre vite. La decisione è stata presa all’unanimità”. Subito dopo l’incidente, la coppia di Cymba aveva avvisato il Comitato di Regata che, oltre a contattare la Capitaneria di Porto italiana (avvisata anche dal segnale Epirb) e la Guardia Costiera americana, aveva chiesto ai concorrenti che navigavano nella stessa zona di Santececca e Piva di dirigersi verso la barca alla deriva. I primi a farsi sentire (prima sul telefono satellitare, poi sul vhf) sono stati i francesi Daniel Prévot e René Le Cunff, in regata sul Bavaria 36 Vagdespoir, che qualche ora dopo (circa sette ore dal momento dell’incidente) sono arrivati sul punto. “Insieme a loro sono giunti anche altri due concorrenti solitari”, racconta Santececca. “Nonostante la delusione per quello che stava accadendo, in quel momento ho provato una bella emozione nel vedere queste tre vele arrivare contemporaneamente verso di noi. È stato molto bello constatare che l’uomo di mare ha dei valori al di sopra di ogni altra cosa: quelle persone avevano deviato la loro rotta, abbandonando momentaneamente la regata, per venire ad aiutare noi”.

La nascita di una grande amicizia

Isidoro Santececca e Francesco Pica sono saliti così a bordo di Vagdespoir di Prévot e Le Cunff, con i quali sono giunti in Martinica dopo tredici giorni di navigazione. “Per fortuna, la coppia di francesi era un equipaggio con una mentalità poco competitiva e molto crocieristica. Dopo un primo giorno passato con alcuni comprensibili problemi di convivenza, ci siamo conosciuti e siamo stati benissimo. Avevano una cambusa per due traversate. Noi gli abbiamo cucinato delle belle pastasciutte, poi abbiamo finito con il fare i turni con loro, timonare e regolare le vele. Devo dire che nella sfortuna siamo stati fortunati a non essere recuperati da una nave che ci avrebbe portati chissà dove. In questo modo abbiamo comunque raggiunto il traguardo della regata su una barca di concorrenti che, oggi, sono nostri amici come se li conoscessimo da trent’anni”. Tutto è bene quel che finisce bene.

di Andrea Falcon

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