Sinner e Alcaraz, non credete quando vi raccontano che sono amici: torneo dopo torneo si alimenta l’ossessione che hanno l’uno per l’altro

Ghiaccio che spenga il fuoco, violenza che inibisca l’arte, il modello cartesiano contro l’irrazionalità alcaraziana: tra i duellanti è sfida di due mondi. A Torino l’ennesimo capitolo
Benché l’amicizia nel tennis sia un concetto ampiamente sopravvalutato, ha ragione Carlitos: non è necessario odiarsi. «La gente si è stupita che ci siamo allenati insieme, qui alle Finals. Lo capisco: lottiamo entrambi per il numero uno. Ma alla fine, ci somigliamo: siamo due persone semplici». McEnroe detestava tutto ciò che veniva da oltre la Cortina di ferro, incluso Lendl. Agassi e Sampras non si sono mai piaciuti. Evert e Navratilova, riavvicinatesi una volta appesa la racchetta al chiodo, si guardavano in cagnesco. Connors litigava con chiunque. Ma Sinner e Alcaraz no, loro sono diversi.
Alla fine del primo incrocio a livello Atp, all’indoor di Parigi Bercy nell’anno pandemico 2021, Jannik, pur battuto in due set, porse all’altro il calumet della pace: «Spero che ci affronteremo ancora tante volte…». Sono già quindici, sedici se contiamo anche il seme della rivalità, piantato al Challenger di Alicante 2019, quando entrambi erano minorenni, e la prossima ha una data, domenica 16 novembre, un indirizzo, Inalpi Arena, e mille significati incorporati. In palio nella finale di Torino c’è tutto: miseria (5 milioni di dollari, da re imbattuto) e nobiltà (vetta del ranking). Quando vi raccontano che sono amici, che prima di sfidarsi in una finale Slam — fin qui tre: Spagna-Italia 2-1 — dormono tra due guanciali, non credeteci.
Sinner-Alcaraz, l’ossessione l’uno per l’altro
Mentre portano lo sport in altri territori, si alimenta l’ossessione che hanno uno per l’altro. Sconfitto a Wimbledon, Carlitos si è ostinato a provare solo colpi che potessero dare fastidio a Jannik; e a New York si è preso la rivincita. A quel punto è stato Sinner a dover trovare nuove vie d’accesso alla magia spagnola: ghiaccio che spenga il fuoco, violenza che inibisca l’arte, il modello cartesiano contro l’irrazionalità alcaraziana. Questo, il veloce al chiuso, è l’habitat dell’attuale numero 1 (ancora per ventiquattr’ore: domani torna in vetta Harry Potter), che da Riad, passando per Vienna e Parigi, non ha più perso.
Verrebbe da dire che ci sono più di sei gradi di separazione, tra i duellanti della rive gauche del Po. E invece, a dispetto di caratteri agli antipodi — Carlitos è empatico e solare, Jannik serio e introverso —, entrambi sono legatissimi al piccolo mondo antico da cui provengono, la realtà rurale di El Palmar (Murcia) e le pendici di antiche radici contadine di Sesto Pusteria, entrambi parlano un idioma che rivela con orgoglio totale fedeltà alle origini, entrambi hanno per tempo individuato nel tennis (prima Alcaraz di Sinner, che fino a 13 anni è stato attratto dallo sci) una via d’uscita dal microcosmo del paese che non passasse da un master universitario, un riscatto sociale. Da giovani uomini appassionati di motori, e facoltosi, spendono soldi nelle loro passioni: Jannik tiene due automobili posteggiate a Montecarlo, l’Audi Rs6 Legacy Edition con cui è arrivato a Torino e la Ferrari 812 Competizione che lava con amore, «e meno male che di posti auto ne ho solo due…» scherza; Carlitos sta facendo costruire una nuova villa per la famiglia a El Palmar, è disposto a investire piccole fortune nella collezione di sneaker (duemila dollari per un paio di Air Jordan) e sogna una Lamborghini. Mark Hodgkinson, autore di «Alcaraz, l’uomo dietro il sorriso», racconta che l’auto di lusso, una Aston Martin, regalata al padre fu mal ricevuta. «Dove ci dovrei andare con questa…?» fu la reazione del capofamiglia. Due ragazzi cresciuti con l’etica del lavoro e dei soldi, che valgono già, a 24 e 22 anni, circa un milione di dollari come cachet per la presenza a esibizioni (Six Kings Slam in primis) e tornei.
Carlos Alcaraz senior e Hanspeter Sinner fecero subito un passo indietro. La fiducia nei coach dei figli, Juan Carlos Ferrero (più Samuel Lopez) e Simone Vagnozzi (più Darren Cahill che è disponibile a proseguire la collaborazione: «Abbiamo fatto una scommessa prima della finale di Wimbledon, deciderà Jannik: se vuole che resti, resterò» ha detto ieri l’australiano), successore di Riccardo Piatti, è totale. Carlitos su Ferrero e Jannik su Cahill proiettano il fantasma paterno, però non c’è Edipo irrisolto. Ci sono la passione per il tennis e la volontà di tenere viva la memoria positiva dei Big Three senza sfuriate, racchette rotte (dopo la prima, si sono tutti e due giurati mai più), intemperanze. Sinner sempre più un Djoker moderno ed evoluto, Alcaraz un riuscito mix tra varietà di colpi (Federer), copertura del campo (Djokovic) e spirito da guerriero (Nadal), ma col sorriso. Torino ha tutta questa ricchezza, e da oggi si comincia a goderne.
9 novembre 2025 ( modifica il 9 novembre 2025 | 07:16)
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