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Verdone, vita da sindaco e le borgate lo acclamano: “Carlo famolo strano”

Vita da Carlo per un giorno sindaco. Bello, un «Sacco bello», come la colonna sonora del suo film che lo accoglie all’entrata del Palazzo Senatorio, quando il sindaco di Roma (quello vero) gli porge la fascia tricolore. Sono soltanto le dieci del mattino ma Carlo, anzi il primo cittadino Verdone, già si commuove mentre le note di Ennio Morricone scandiscono l’incipit di una giornata che poi, nel libro d’oro del Campidoglio, definirà «indimenticabile».

Eccoli Carlo Verdone e Roberto Gualtieri, venticinque anni dopo Alberto Sordi e Francesco Rutelli, Roma dal balcone della Torre Capitolina è bella in modo struggente, il cuore dell’antichità è qui, oltre c’è la Capitale barocca, il centro, ma Carlo Verdone era stato chiaro: «Nel mio mandato di sindaco per un giorno portatemi nelle periferie, lì c’è bisogno, lì dobbiamo andare, voglio sentire l’umanità e la vita vera». Così, indossata la fascia, butta lì la prima battuta: «Adesso comando io». E poi, nell’assemblea della borgata Tragliatella: «Se Gualtieri non fa i lavori che ha promesso, votate per me, che vi risolvo tutto». La risposta è, naturalmente: «Carlooo, sei tutti noi, vota Carlo, vota Carlo». Battute, risate, ironia, ma anche ricordi. «Mi emoziona molto essere qui, proprio perché 25 anni fa la fascia da sindaco ce l’aveva Alberto che ci manca tanto. All’ora di pranzo lo incontrai a Cinecittà dove era proprio in visita da primo cittadino e mi disse: A Carlo, annamosene via. Io questo lavoro manco per tre ore lo farei, adesso devo andare a dormire».

Via dal centro dunque, via dai quartieri dentro le mura, verso i lembi più estremi, dopo aver firmato, proprio come spetta a un sindaco, i primi documenti della giornata. (Un ambulatorio dentistico popolare a Tor Bella Monaca, sostegni alle piccole librerie).

(ansa)

C’è sintonia tra Roberto Gualtieri e Carlo Verdone e la prima tappa è in un parco pubblico, Villa Gordiani, a ridosso della via Prenestina. C’era un folla di bambini e l’intero quartiere ad accoglierli, nel luglio scorso una nube densa e tossica stazionò per giorni su case, scuole e uffici dopo il devastante scoppio di un distributore Gpl proprio alle spalle del parco. I ragazzini più grandi citano a raffica battute dei film di Verdone, addirittura i più antichi, da Un sacco bello a Viaggi di nozze. «Ma come fate a conoscerli? Non eravate nati». Risposta pronta di Davide: «Mia madre è pazza di Carlo, me li ha fatti vedere tutti». E Carlo li abbraccia, ride, poi ricorda: «Anche io giocavo ai giardinetti, in aree ludiche molto più sconnesse di questa. Ma ci si divertiva con poco allora. Tutto quello che si può fare per i bambini e i giovani è sacro. Va creata la condivisione e anche un semplice parco può essere utile per aggregare».

Perché il nemico è la disgregazione sociale e Verdone sindaco lo ripeterà più volte. «Ciao Carlo, forza Roma, non ci dimenticare». Selfie a valanga, applausi, tanti, anche per Roberto Gualtieri. «Le periferie — dice Verdone — sono laboratori di idee, creatività, comunità che fanno del bene. Qui c’è disuguaglianza, non degrado».

Ma sarà al centro anziani sulla via Cassia, parte opposta della città, a “La Storta”, l’apoteosi del Verdone-day, nel giorno del suo settantacinquesimo compleanno. «Carlo, lo famo strano?», lo abbraccia entusiasta all’arrivo una bella signora con i capelli blu, gagliardamente over ottanta. In duecento seduti a tavola, lasagne, saltimbocca, spaghetti cacio e pepe e torta di panna e cioccolato. «Carlo stavolta non abbiamo cucinato noi, devi tornà per assaggiare le tagliatelle con i funghi», urla la presidente del centro. «E meno male che non hanno cucinato Carlo — è il commento in sala — sennò a Natale stavi ancora qui a mangiare». (In realtà la frase era in romanesco). Alla fine Verdone accetta anche due dita di vino: «Sono astemio da sempre, ma oggi ho fatto una piccola eccezione». L’affetto tracima e dilaga, baci, pacche sulle spalle, sembra quasi la scena di un suo film, con lui un po’ tramortito, ma gentile, gentilissimo.

Poi tocca alla periferia profonda, zone abusive dove acqua e luce non sono ancora una certezza, zone addirittura da dover mappare perché mai censite. L’incontro nella borgata Tragliatella, sotto un disadorno capannone, non fa sconti. Né al sindaco Gualtieri, né a Carlo, sindaco per un giorno. Si chiedono autobus, strade asfaltate, fognature. Ma scatta l’orgoglio per le cose che cambiano. «Qui tra noi c’è una ragazza che fa la cantante lirica e abbiamo i primi diplomati tra i nostri figli». Applausi, emozione, lo studio è ancora una conquista in questa periferia agreste.

Dopo un passaggio al teatro Valle per vedere i restauri e la proposta di creare un mercatino antiquario in via Veneto, il ritorno nell’Aula Giulio Cesare, dove Verdone, quando ormai è sera, restituisce a Roberto Gualtieri la fascia tricolore e riceve in regalo la lupa capitolina. «È stata un’emozione incredibile. Ieri notte ho dormito tre ore. Questo abbraccio di Roma, speravo che sarebbe stato così. E così è stato. La Roma degli anni Ottanta non esiste più, ma il mondo va avanti, bisogna costruire il futuro».

Ci sono i figli, Paolo e Giulia, la sorella Silvia, il cognato Christian De Sica. Negli scranni anche l’ex sindaco di Roma, Rutelli. Gualtieri e Verdone si salutano con un abbraccio forte, vero. «Caro Carlo, hai dedicato la giornata alle periferie, alle comunità che hanno più bisogno. C’è un grande affetto di Roma per te. È reciproco, no?», dice il sindaco citando Furio, di Bianco, rosso e Verdone, prototipo Poi Carlo firma il libro d’oro. «Grazie per avermi fatto incontrare nelle periferie tanta umanità e tanta poesia. È stato un giorno indimenticabile».

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