Quanto servirebbe un po’ di filosofia morale in tempi di guerra (di G. Culicchia)

Era la metà degli anni Ottanta quando a Palazzo Nuovo, allora sede della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Torino, mi imbattei in un’altra matricola che mi consigliò di frequentare le lezioni di Filosofia Teoretica di Gianni Vattimo. Io ero iscritto a Lettere, e lavoravo, e facevo i salti mortali per seguire le lezioni del mio piano di studi, ma leggevo per conto mio Nietzsche e sapevo che Vattimo se n’era occupato e alla fine decisi di seguire quel consiglio, anche se un esame di Teoretica non l’avrei mai dato.
Ebbene: si trattò di una decisione destinata a rivelarsi felice, perché le lezioni di Vattimo erano incredibilmente interessanti, si aveva davvero la sensazione che ti aprissero la mente, dirottandola verso territori che mai avresti immaginato di esplorare. Vattimo, che aveva conosciuto di persona Martin Heidegger e con questi altri Mostri Sacri del pensiero e della filosofia europei, tra cui Hans-Georg Gadamer, citava spesso il mio amato Nietzsche, specificando che secondo il suo parere non di teoria del Superuomo si doveva parlare ma piuttosto di teoria dell’Oltreuomo.
Non mi dilungherò qui sulla qualità eccelsa di quelle lezioni impartite a noi matricole dal filosofo torinese da poco scomparso, che però mi sono tornate in mente in questi giorni, dopo avere appreso che l’Università di Bologna ha ritenuto di non ammettere a un corso di filosofia i giovani ufficiali dell’Esercito. Perché ricordo bene come Vattimo sostenesse che corsi di filosofia avrebbero dovuto essere tenuti in ogni facoltà, a cominciare da quelle di Ingegneria, Economia, Biologia e Medicina. “Soprattutto, andrebbero tenuti corsi di Filosofia Morale”, diceva a noi studenti, “viste le implicazioni etiche di tali discipline, che non di rado hanno un così grande impatto sulla vita di ciascuno”.
Ecco: a distanza di quarant’anni e alla luce di quanto accaduto a Bologna, credo che tutto questo potrebbe costituire un elemento di riflessione. Perché non si tratta di militarizzare l’università, bensì di dare a chi ha scelto la professione militare altri strumenti e altri spunti di riflessione. Fermo restando che un corso di Filosofia Morale lo dovrebbero seguire, visti gli ultimi sviluppi dell’arte della guerra non prevedibili da von Clausewitz, anche cani robot e droni.




