Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia: “La cultura è volo”

Roma, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia
“LA CULTURA E’ VOLO”
Presentazione del dossier di candidatura di Tarquinia e della rete DMO Etruskey a Capitale Italiana della Cultura 2028
Ente proponente Comune di Tarquinia
Rete territoriale DMO Etruskey Destination Management Organization del Terzo Settore
Coordinamento progetto
Sindaco di Tarquinia Francesco Sposetti
Presidente DMO Etruskey Letizia Casuccio
Coordinamento dossier Lorenza Fruci
Destination Manager DMO Etruskey Federica Scala
Partnership istituzionali il Parco Archeologico di Cerveteri e Tarquinia, il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia di Roma, l’Autorità di Sistema Portuale del Mar Tirreno Centro Settentrionale, la Direzione Regionale Musei nazionali Lazio e la Soprintendenza Archeologia Belle Arti Paesaggio Etruria Meridionale
Roma, 18 novembre 2025
Quando un territorio viene osservato non come una semplice cornice geografica, ma come un sistema organico fatto di permanenze, trasformazioni e connessioni, emergono linee di continuità che sfuggono alla percezione superficiale. La candidatura di Tarquinia e dei Comuni della rete Etruskey al titolo di Capitale Italiana della Cultura appartiene a questa dimensione: non nasce da un impulso episodico, ma da un processo che si è sedimentato nel tempo, come uno strato archeologico che, una volta portato in luce, rivela una struttura già compiuta. L’elemento distintivo non è l’entusiasmo collettivo, ma una governance che funziona, un meccanismo che si è già dato regole, strumenti e obiettivi comuni. Il dossier che accompagna la proposta, intitolato La cultura è volo, non indulge in metafore decorative. La nozione di “volo” viene utilizzata con precisione concettuale: ciò che si solleva lo fa perché possiede un corpo, un’ossatura e una tensione interna adeguata. La cultura, in questo caso, è ciò che permette al territorio di elevarsi senza abbandonare la propria base storica, di produrre movimento senza smarrire i riferimenti che lo costituiscono. A ben vedere, l’immagine trova un corrispettivo materiale proprio a Tarquinia, nei celebri Cavalli Alati conservati nel Museo Archeologico Nazionale: non creature mitologiche idealizzate, ma figure plastiche in cui la forza terrena dell’animale e la spinta ascensionale dell’ala convivono in un equilibrio strutturato. Questa compresenza di radicamento e sollevamento diventa una chiave interpretativa efficace per comprendere il progetto. Tarquinia assume nel contesto della candidatura il ruolo di città capofila, non per supremazia, ma perché dotata della capacità di aggregare e coordinare. Attorno ad essa si dispone una rete di Comuni — Allumiere, Barbarano Romano, Blera, Canale Monterano, Cerveteri, Civitavecchia, Ladispoli, Montalto di Castro, Monte Romano, Santa Marinella e Tolfa — che condividono un tratto distintivo: l’appartenenza a una matrice etrusca che ha modellato paesaggi, insediamenti e relazioni di lunga durata. La rete Etruskey, attiva da anni come DMO, ha già operato in questo senso: ha reso evidente che quel patrimonio non è un lascito immobile, ma un principio organizzativo capace di orientare il presente. L’aspetto più innovativo della candidatura è la concezione di Capitale della Cultura Diffusa. Non si definisce un centro dominante, non si costruisce una gerarchia, ma si distribuiscono funzioni e attività in modo da rendere il territorio un sistema coerente. Si tratta di un’impostazione che riflette un principio metodologico fondamentale: un contesto culturale non si comprende attraverso un solo nodo, ma attraverso l’articolazione delle sue parti. Così come un frammento non restituisce il senso di un monumento, un singolo Comune non restituisce la complessità dell’Etruria meridionale. La cultura, in questo modello, è una trama di relazioni, non un punto isolato. Il programma culturale proposto si colloca all’interno di questa visione policentrica. Le iniziative non sono concepite come eventi occasionali, ma come segmenti di una struttura più ampia, che integra passato e presente. Particolarmente rilevante è la vasta mostra dedicata al tema del sacro etrusco, sviluppata grazie alla collaborazione tra musei, parchi archeologici e università. Essa non mira solo a esporre reperti, ma a ricomporre una visione complessiva del rapporto tra sacralità, territorio e società antica, producendo un contributo scientifico e non solo divulgativo. In parallelo, il progetto include interventi di produzione contemporanea: spettacoli teatrali in forma diffusa, progetti poetici rivolti ai giovani, concorsi destinati a elaborare soggetti per una serie televisiva sulla storia degli Etruschi. In queste iniziative si coglie una tensione costante: non utilizzare il patrimonio come uno sfondo, ma come un interlocutore. Accanto alle attività artistiche e museali, il dossier attribuisce grande importanza al paesaggio, non come elemento scenico, ma come componente strutturale dell’identità territoriale. Il Cammino degli Etruschi e la Lazio Blue Route sono concepiti come dispositivi permanenti di lettura del territorio. Attraversandoli, si comprende la logica insediativa che lega città, campagne, alture e coste; si riconoscono sistemi agrari, percorsi antichi, continuità ambientali. È un modo per restituire al pubblico l’accesso non solo allo spazio, ma alla sua intelligenza profonda. Anche in questo caso, l’accostamento ai Cavalli Alati risulta pertinente: come quelle sculture sintetizzano in una forma unica la massa e la leggerezza, così il progetto tenta di conciliare il peso della storia con la necessità di muoversi nel territorio con passo contemporaneo. La candidatura è sostenuta da un sistema ampio di collaborazioni, che coinvolge università, fondazioni culturali, associazioni nazionali, musei e operatori economici. Essa riconosce che la cultura non è una somma di iniziative, ma una filiera fatta di competenze diverse, che devono dialogare in modo continuativo. Significativa, in questo senso, è l’introduzione di meccanismi di monitoraggio e valutazione affidati a un ente esterno: una scelta che conferisce rigore e misurabilità al progetto e che risponde a un principio di responsabilità verso il territorio. La decisione di presentare il dossier nei diversi Comuni della rete è un altro elemento rivelatore. Non si tratta di una prassi cerimoniale, ma della volontà di assicurare che il programma culturale non sia percepito come un progetto calato dall’alto. Al contrario, esso deve essere riconosciuto dalle comunità come un processo condiviso, un dispositivo che appartiene collettivamente. Cultura, paesaggio, partecipazione e governance si combinano in un sistema che privilegia l’efficacia alla spettacolarità. Il territorio non viene reinventato, ma interpretato con maggiore consapevolezza. I Cavalli Alati di Tarquinia ne diventano la metafora: solidi nella radice, protesi verso l’alto. La candidatura non li replica, ma ne assume il principio, sollevando il territorio e mettendone in relazione le parti.




