Ornella Vanoni, addio a una “bellissima ragazza” – Il ritratto dell’artista morta a 91 anni

“Una bellissima ragazza” ci ha lasciato. L’attrice, la cantante della mala, la cantautrice, l’opinionista, nella parte più recente della sua vita, Ornella Vanoni è morta oggi a 91 anni. Ci aveva promesso altri quattro anni: “Io son già d’accordo con un medico: a novantacinque anni basta. Ho firmato un documento”, continuava a rispondere alle domande sulla sua età e sul rapporto con la vecchiaia, che comunque trattava con la stessa ironia con cui trattava ogni argomento della vita: “Me l’avevano detto che avrei avuto una vecchiaia brutta: non so giocare a carte, non so fare la maglia, mi dà noia cucinare. Insomma, mi piace lavorare”. E infatti Ornella ha continuato a lavorare sempre.
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Ha cominciato a 20 anni, al Piccolo di Milano. Di sé diceva che all’epoca, abbandonata l’idea di fare l’estetista, si sentiva “né arte, né parte, né carne, né pesce”, intrappolata in un “né”. Eppure al provino nel tempio del teatro italiano Sarah Ferrati riconosce subito quella che Stephen King chiamerebbe “la luccicanza” e dice: “Attenzione, qui c’è qualcosa…”. Ed è al Piccolo – siamo nella metà degli anni 50 – che l’unico uomo a cui Ornella accetterà mai di tributare l’epiteto di “genio”, Giorgio Strehler, ne diventa mentore e compagno, con grande scandalo per la borghesia meneghina, e inventa per lei, insieme ad altri – ci permettiamo – “geni” come Gino Negri, Dario Fo e Fiorenzo Carpi, le canzoni della mala. Nascono così Ma mi, Le mantellate, Hanno ammazzato il Mario, “un repertorio che fosse inedito, ma sembrasse antico, tramandato da decenni”, la prima pelle di questo splendido e rarissimo serpente che è stato Ornella Vanoni.
Passano 5 anni e Ornella cambia di nuovo pelle. Sarà un incontro alla Ricordi nel 1960 a farle incontrare Gino Paoli, la sua seconda sliding door. “Sono al pianoforte. Alzo lo sguardo e vedo questa splendida donna, la voce sensuale, le mani grandi, che mi chiede di comporre una canzone per lei”, racconterà il cantautore genovese per spiegare la genesi di quel miracolo che è Senza fine. “Ci siamo uniti perché tutti e due eravamo considerati strambi, diversi – scrive Vanoni nella sua autobiografia uscita a maggio ‘Vincente o perdente’ (La nave di Teseo) – Sembrava uno sfigato, invece aveva dentro canzoni meravigliose”. Canzoni come macchine fotografiche: “Con una di queste Gino ci ha inquadrati. E ha scattato: ‘Senza fine, tu sei un attimo senza fine, non hai ieri, non hai domani, tutto è ormai nelle tue mani, mani grandi mani senza fine”. Paoli, come lui stesso racconta, le insegna a cantare, a togliersi di dosso un repertorio con cui Strehler l’aveva lanciata, ma attraverso cui l’aveva anche ingabbiata.
Anche questa però è una fase, una fase dolorosa perché il sodalizio artistico è stato forte almeno quanto è stato forte il legame d’amore tra Paoli e Vanoni, sancito anche dalla peggiore delle perdite. Si chiedeva Ornella nella sua autobiografia del 2011: “Una tenera curiosità mi è rimasta dentro: come sarebbe stato il pargolo di una donna dalle mani senza fine e di un uomo che vede il cielo in una stanza?”.
Ci sono decine di cieli e decine di stanze nella vita di Ornella: il matrimonio con l’impresario Lucio Ardenzi – “Non l’ho mai amato. L’ho sposato perché ero una donna sperduta”; il figlio Cristiano, avuto proprio da quel marito “così vanitoso”: “Non essere stata presente come avrei voluto con mio figlio è il mio rimpianto più grande”, confiderà al Corriere la cantante; la depressione – “Guai a non prendere gli psicofarmaci, se li usate e state bene: non smettete, terminate la cura, sennò non guarirete”, continuerà a raccomandare a chi affronta la stessa “tristezza che ti inchioda”; l’amicizia e collaborazioni con i migliori cantautori italiani: Luigi Tenco “tutto amore e morte”, Lucio Dalla che Ornella vedeva “bellissimo” – “Non guardavo alla statura, ai peli… stupidaggini. Io vedevo energia, calore, talento” – Giorgio Gaber che sapeva essere “feroce nella critica” e quando Vanoni gli chiedeva una canzone, rispondeva: “Ma no, Ornella, non ti ci vedo a cantare testi gramsciani…”.
Le foto continuano a scorrere perché Ornella è davvero uno di quei personaggi per il quale il termine “larger than life” è utilizzabile senza banalità: non c’è una canzone o un disco, ci sono centinaia di pezzi che rimarranno nella storia della musica italiana e internazionale. Non c’è un duetto in particolare o un disco da citare, ma migliaia di ore di musica da ascoltare, colonne sonore di almeno quattro generazioni. “Non sentite dunque questo urlo terribile, che chiamano silenzio?”, sembra di sentire fra coloro che l’hanno amata e oggi l’hanno persa. Da un angolo della stanza si alza però una voce e il suono della tromba dell’amico Paolo Fresu: “La mia fede è troppo scossa ormai, ma prego e penso tra di me. Proviamo anche con Dio, non si sa mai. E non c′è niente di più triste, in giornate come queste che ricordare la felicità, sapendo già che è inutile ripetere “chissà”. Domani è un altro giorno, si vedrà”.




